venerdì 4 marzo 2011

12 Storia delle tarantole

Un giorno un discepolo chiese al suo maestro: "Maestro com'è che voi non siete virtuoso e casto e giusto come dovrebbe essere un vero illuminato, un saggio?
Il maestro che vi precedette era uomo di autentica virtù poiché mai nulla fece per cui potesse essere ripreso ma, non so spiegarmi come, non era egli un uomo di pace.
Non so che dirvi e come, ma questo fu ciò che sentii sempre quando sedevo accanto a lui.
Come se ci fosse un ardore non sopito, un che di combattivo, una lotta, un duello, tra chi e chi io non saprei dirvi, ma questo sentivo sempre presente in seno a quell'uomo.
Dunque ciò che emanava dal suo volto era severità, giustizia, una saggezza oscura, non pace.
Voi siete l'opposto, che io mi accorsi presto, non siete davvero un modello di virtù; cadete ancora preda di baldanzose ire, siete attirato da qualche bella donna e non disdegnate bere, quando la nostra regola in realtà lo vieta.
Ma di nuovo qui non so che dirvi come voi spandiate intorno a voi soave pace e ogni vostra parola placa il cuore e non alza inganni."
"Ah! - disse il maestro - e perché allora stai qui con un uomo come me che non ha virtù di santità?"
"Ma io non saprei. Certo ciò che mi prende il cuore è molto più la pace che irradiate; quella io non conosco e vorrei conoscere poiché, vedete, le cose in cui sbagliate io le riconosco e dunque esse non mi fanno danno!
Dunque ho concluso che sono molto più attratto da ciò che avete voi, piuttosto che dal restare accanto ad un uomo saggio che non farà mai una pazzia. Ma a questo punto io non mi raccapezzo più: non serve di più seguir la regola e la divina legge piuttosto che essere come voi?"
"Vedi - rispose pacatamente il maestro - io penso che così vada la vita, che in natura esistono due specie di tarantole: quelle che pensano che il loro veleno sia un problema e dunque cercano in buona fede, seguendo, dicono, la divina legge e l'unità, cercano di ammaestrare il loro veleno a diventare innocuo e si trattengono dall'espanderlo per paura di fare danni; così in loro il veleno, che è naturalmente prodotto, ad un certo punto si dilata ed espande ed esse spandono intorno a sé ciò che il veleno corrode dei loro visceri inquieti. Ci sono poi tarantole che non fanno del loro veleno un problema e non piangono mai sulle carogne che esso ha fatto."
Sapeva il maestro che a quelle parole il discepolo o si sarebbe illuminato o sarebbe andato via inorridito.
E così fu che il discepolo disse: "Troppo forti e audaci son queste tue parole e io non credo che così, invero, vada la vita, perciò ti lascio".
Si ritirò così da solo su di un monte lì vicino, calato in un penoso e triste affanno perché non sapeva più cosa pensare, non aveva più riferimenti e quel paragone delle tarantole gli oscurava il cuore.
Fu così che un giorno un vecchio che veniva da lontano e stava andando ad incontrare il maestro del nostro discepolo, poiché quel maestro era considerato un saggio, sostò dal discepolo.
Il vecchio sapeva della storia tra il maestro e il discepolo che lo aveva ospitato nella sua capanna, ma non proferì parola.
Ringraziò del pasto e del giaciglio e vedendo sempre scuro e triste quell'ospite squisito, prima di ripartire disse: "Le nuvole si stanno addensando e corrono davvero basse e temo che una tempesta mi colga per strada facendomi, per la mia età, gran danno."
"E che danno vuoi che ti faccia? - chiese il discepolo - Credi forse d'esser quel corpo che morirà per un po' di pioggia?"
"Ah! - disse il vecchio - allora io mi sbagliavo, che tu non credi che la tempesta sia una cattiva cosa!"
A queste parole il discepolo fu illuminato."