sabato 18 febbraio 2012

15 Storia del maestro nato cieco

C'era una volta un re che voleva trovare Dio.
Dio, Dio, chi fosse questo Dio non lo sapeva, ma il cuore, quello lo spingeva a trovare questo Dio.
Non s'accontentò il re di ciò che gli veniva detto e, avendo sentito parlare di molte religioni e molti credo e di molti uomini di virtù e santità che si diceva che quel Dio avessero trovato, decise un giorno di riunir costoro davanti a sé, per sentire da loro chi fosse Dio.
Il numero di quei sapienti che sfilò di fronte al re fu tale che per giorni e giorni il sovrano non poté uscire dalle sue stanze e, sempre più pauroso e titubante e triste, ascoltava ormai con viva noia il tutto.
Sì, delle tante frasi ascoltate alcune avevano toccato il suo cuore come se da sempre le avesse attese e invero dunque, non così completamente ignote, ma ci voleva altro, pensava il re, perché a trovar Dio ci si doveva sentir ardere da fuoco o sublimare da una gioia senza uguali.
Ascoltò tutti e l'ultimo giorno si presentò a lui un vecchio secco come una canna e solo come un cane. Si diceva di costui che fosse un santo eremita di un vicino villaggio e che non avesse né sottoposti né seguaci, poiché coloro che con lui erano stati, poi, non si sapeva il perché, se ne erano andati.
Quest'uomo, quando fu davanti al re, salutò con un cenno del capo che chinò sul petto, portando le mani giunte dinanzi al proprio cuore e, fulmineo come il lampo per il caldo in un cielo d'estate, disse: "Sono nato cieco." e risoluto come era venuto se ne andò.
Sgomento il re pensò che vaneggiasse per l'età e che davvero poi non potesse essere tenuto in gran conto un saggio senza né scuole né chiese, né discepoli o seguaci a lui riconoscenti almeno per qualche grazia e così concluse il re che con quello tutto s'era chiuso e lui ne aveva tanto come prima non fosse stato per una quantità veramente inestimabile di libri dove ogni sapiente aveva detto: "qui troverai Dio".
Ma quella frase "sono nato cieco" tormentò il re, sempre presente e fresca come appena pronunciata, in tutti i giorni a venire.
Si decise così un giorno il re ad andare alla grotta di quel saggio e così, di nascosto, andò.
Giunto, lo trovò dopo lunghi tentativi semplicemente perché vide fuori di una grotta, sostare addosso alla parete, un sacco ed una canna. Entrò e il buio, solo quello, lo accolse così che il re cominciò a chiamare.
Nessuno gli rispose ma il re continuò a cercare e dopo un po', quando i suoi occhi si abituarono al buio, vide quell'uomo fermo, immobile, seduto con una grazia davvero inconoscibile al centro della grotta. "Salve" disse il re e si presentò.
L'uomo non alzò lo sguardo solo rispose con un cenno del capo come a dire: "Puoi parlare".
Il re allora gli domandò cosa volesse dire la frase che gli aveva detto.
"Se sei qui lo sai" rispose il saggio.
"Mi deridi forse - rispose il re - che se son qui anche un idiota capirebbe che è perché non so?"
"No - riprese il saggio - non è così. Tu non vuoi ancora sapere ma già sai".
"Allora grande sapiente - disse il re - perché di te si dicono cose da ignavo e che non fai miracoli e che pochi discepoli tu avesti che poi tutti ti abbandonarono, e che di questi due, di te più grandi, operano autentici miracoli nel curar la povera gente?"
"Ah! - disse il saggio - E perché, se di me sai tali cose, sei venuto oggi quassù?"
"Per sapere che vuol dire che sei nato cieco".
"E' perché tanta luce potrebbe abbagliarmi" rispose il vecchio.
"Ma se hai detto ora che sei nato cieco - disse il re - come potrebbe la luce farti questo, che poi se anche tu vedessi solo un po', qui non c'è che buio?"
"Ma dentro non è così"
"Dentro dove?" chiese il re.
"Davvero non lo sai ?" chiese il saggio.
"E poi -  aggiunse - io non ho detto che non vedo, ho detto solo che sono nato cieco".
"Questa è una terribile umiliazione per un re stare ad ascoltare un vecchio che vaneggia - riprese il re - ... ma sei cieco o non sei cieco?"
"Bisogna vedere tu cosa intendi per nascere - rispose il vecchio - se intendi venire a questo mondo allora tu ti sbagli che io per questo mondo e in questo mondo davvero non sono cieco, ma a questo mondo quando nacqui fui cieco. Comprendi?"
Si avvilì il re a quelle parole anche se, non sapeva come, qualcosa gli riusciva di comprendere, meglio, sentire, tanto questo modo insolito e nuovo di capire era diverso e lontano dal consueto giudizio della mente.
E in quel momento con una cadenza dolce ed armoniosa il saggio pronunciò queste parole: "Sette volte nacque un uomo e vedeva. L'ultima volta vedeva come un re, ma quando non vide più e fu cieco, finalmente vide".
Stettero a lungo in silenzio poi il re chiese: "Vide cosa?"
"Guarda" rispose il saggio e sospirò.
Il silenzio colmò ogni perplessità e indebolì con la sua grazia la luce vana e fioca della mente di quell'ostinato voler sapere e capire, che ci fa tutti inadeguate comparse di un grande sogno.
Si sentì poi un lieve calpestio e il re, aperti gli occhi, vide un giovane monaco avanzare nella grotta, inchinarsi davanti al vecchio e a lui e poi sedersi accanto a loro.
Passò del tempo in cui nessuno proferì parola poi il vecchio disse al monaco: "Ho saputo che fai miracoli e operi vere guarigioni, Perché non mi hai detto nulla, io che sono il tuo maestro?"
Dopo un attimo di silenzio che parve al re un'eternità il giovane rispose: "Perché il mio maestro già lo sa".
S'inchinò davanti al monaco il saggio e con un sorriso dolce, luminoso e quieto disse rivolto al re: "E già, egli lo sa"