C'era una volta un fiorellino che fremeva tenero e solitario in un
fitto bosco d'olmi annosi. Si stupiva esso stesso d'esser nato lì in
quel posto e chi l'avesse lì condotto si chiedeva e quale vento
avesse portato il suo seme e per quale calura, visto che di sole
quasi non gliene arrivava, doveva aver attecchito in quel povero
terreno il seme, sempre si chiedeva con il tormento nel cuore di
essere solo, unico, diverso e patendo questa solitudine terribile.
Guardò un giorno ormai avvezzo alla penombra che sempre faceva in
quel bosco, un po' meglio intorno a sé e gli parve di distinguere
tra fogliame e arbusti, robusta e vigorosa, nodosa e forte una radice
dell'olmo più vicino. Pensò di provare a parlare come un fiore a un
fiore per vedere se almeno costei poteva capirlo e un po' dargli
compagnia.
"Buon giorno mia buona radice", disse il fiore e aspettò
sicuro di aver parlato invano, quando nel silenzio del bosco qualcuno
con voce robusta e profonda rispose: "Buon giorno a te mio buon
fiorellino di campo."
"Oh! - disse il fiore - finalmente parli!"
"Che dici? Io ho sempre parlato, tu solo adesso l'hai scoperto,
ma io parlo, non finalmente, parlo!"
"Ecco anche tu nel salutarmi hai ammesso che sono un tenero
fiore di campo, cosa ci faccio dunque io qui? Perché? Di questo non
riesco a rassegnarmi e sono molto triste. Quale torto mi ha fatto la
vita!"
"Ecco, vedi - disse la radice - tu puoi pensarla come vuoi ma se
venissi qui al mio posto e ti guardassi certo capiresti perché una
tal macchia di colore ha portato luce al sottobosco."
"Oh! Certo - disse stizzito il fiorellino - certo che sono bello
e colorato! Dovresti veder i miei fratelli d'estate nei campi e di
primavera, ridere felici al sole e lasciar ondeggiare le loro corolle
al vento! Io qui il sole non vedo mai e neppure sento il vento che
tra questi legnosi tronchi non può passare."
"Ma senti, senti - disse la radice - com'è che sai del vento e
del sole e dei fratelli se sei nato qui sotto ai miei occhi e mai
dunque puoi aver visto tanto?"
Si stupì d'un tratto il fiorellino e disse: "Certamente ho
sognato nelle notti d'estate queste cose e ora le ricordo", ma
ormai qualcosa era mutato e, non più preso dalle sue preziose
lamentele, stava porgendo ascolto a ciò che la domanda aveva in lui
sollevato.
"Allora - chiese la radice - dici di aver sognato? E perché nel
sogno non hai gioito di quel che era e non l'hai assaporato, placando
così il tuo desiderio e le tue brame? O perché non hai continuato a
dormire sognando d'esser là?"
"Già - disse il fiore - questo non lo capisco e poi non posso
sempre dormire, anzi m'accorgo che il sogno più che spegner le mie
brame le accende come il vento fa col fuoco."
"Allora come va - disse la radice - che non sai chi sei e chi
qui ti ha portato ma sai per certo chi vorresti essere e dove
vorresti essere adesso?"
A quella muta domanda il fiore capi.
S'illuminò tremando fin dalle sue piccole radici e disse: "Che
sciocco! Il sogno, il vero, chi sono, chi sono ... solo uno sciocco
può cadere in questo astuto tranello."