C'era una volta un bimbetto sveglio e piccino, tanto piccino e magro,
da far tenerezza al cuore a guardarlo e così cocciuto e chiuso nel
suo dolore, che neppure all'angelo di Dio che a tutti parla, era dato
il potere di toccargli il cuore.
Il suo dolore era così grande e profondo che lo sentiva premere come
un macigno contro il petto e, senza tregua, lo asciugava come il sole
fa, con un arbusto senza riparo alcuno.
Avvenne così che una notte, mentre piangeva disperatamente, l'angelo
di Dio bussasse lievemente, e questa volta udito, alla porta del
cuore del piccino.
Si destò costui dal sonno lieve per scivolare in un sonno più
profondo, dove la mente non spinge ai desideri e alle illusioni e
chiese:
"Chi è che bussa?"
"Sono io, l'angelo di Dio."
"Avanza o benedetto, grande foriero di pace e di saggezza, ché
io subito aprirò la porta del mio cuore!" disse il piccino.
Ma cercando di aprire la porta, il piccolo si accorse che gli
mancavan le chiavi.
Si sedette triste ad aspettare che so, un'idea, un barlume d'ingegno
o un'iniziativa dell'angelo, ma il tempo passò, almeno così sembrò
a lui, che nessuno dei due parlava e nessuna idea si affacciò alla
sua piccola mente buia.
"Che c'è?" chiese l'angelo.
"C'è che non posso aprirti la porta del mio cuore perché ci
vogliono le chiavi che io non ho!"
"Capisco - riprese l'angelo - eppure a me hanno detto che non ci
sono porte e che non esiston chiavi, se il cuore che mi accoglie
riconosce come vera questa frase: - Il Signore non dà e il Signore
non toglie! -"
"Ma questo non è vero!" disse il piccino.
"Allora io ripasserò un'altro giorno!" rispose l'angelo di
Dio.
Penosamente raccolto su se stesso, come un piccolo batuffolo di lana,
il bimbo cominciò a piangere, ma quella frase dell'angelo prese
tosto il posto di quel dolore.
"Il Signore non dà e il Signore non toglie."
Andò avanti giorno e notte con quella cantilena dentro al cuore, "il
Signore non dà e il Signore non toglie", quando un dì si
ricordò tutto d'un tratto, che aveva vissuto tutto quel tempo senza
pensare più al suo problema.
Com'era possibile?
Eppure quel dolore lo aveva perseguitato giorno e notte e lo aveva
asciugato nelle sue piccole membra fino alle ossa, fiaccandolo come
un vecchio in fin di vita.
Cominciò allora a far su questo fatto qualche considerazione e
comprese come la mente, occupata da un pensiero, non può che usare
quello come se si fosse dato in mano ad una scimmia, di cui vogliamo
liberarci perché pedante e noiosa, un gioco, e di quello lei si
interessasse senza importunarci più.
Allora si chiese il bimbo se avessero ragione gli altri a dirgli che
lui pensava troppo.
E tutto il senso del mio problema, si chiedeva, era solo spostare la
mente da un pensiero ad un'altro?
Sentiva che, in parte, un po' di verità in questo c'era, ma non
proprio tutta.
Come quando si svolge un componimento e si capisce che sì, abbiamo
centrato l'argomento, certo abbiamo risposto a tono, ma qualcosa,
qualcosa di vivo e di vitale per il tema, manca, ecco, manca la
poesia del cuore!
Fu così che, immerso in quelle sensazioni, sentì di nuovo la voce
soave dell'angelo di Dio.
"Son qui, dove del resto son sempre stato e, visto che la mia
frase è riuscita nel suo intento, voglio spiegarti che cosa non
comprendi."
"Ecco, disse il piccino, com'è che la mia mente, furba come una
scimmia, fa un pensiero cui per fama di virtù o per desiderio si
attacca e con esso si trastulla per il piacere che le dà, oppure, se
teme quel pensiero, essa lo ghermisce come un frutto acerbo e cerca
di schiacciarlo per il terrore che quello le incute?"
"Già - disse l'angelo - è proprio così, ma dov'è il
problema?"
"Il problema - disse il piccino - è che se anche io placassi la
mia mente, cosicché essa faccia pochi pensieri, potrebbero restare,
io mi sono accorto, i pensieri che più temo e che più spaventano il
mio cuore, facendomi soffrire!
Allora - proseguì il piccino - quale può essere l'uscita, che la
mente sempre pensa e, con quel che pensa, gioca?"
"Proprio nel gioco - rispose l'angelo di Dio - proprio nel gioco
è il triste fine, il tutto!"
"Nel gioco? Cioè?" chiese il piccino.
"Vedi, - rispose l'angelo - se la tua mente fa pensieri che tu
non puoi che accogliere così come il tuo cervello accoglie le
immagini che gli occhi gli conducono, perché non fermarti a questa
sola funzione?
"Spiegati meglio"
" Vedi, la nascita di un pensiero è come la nascita di un
bimbo: è nato, è lì e il mondo non può che accoglierlo così
com'è, senza coltivare in lui manie di grandezza o timori di
inutilità, facendo in questo, ciò che invero fa la vita."
"Ancora non comprendo" disse il piccino.
"Non comprendi come colui che innesca il gioco della mente sia
il giudizio? Esso si attacca come l'aquila dei monti ai vostri
pensieri e lì, con i suoi lunghi artigli appeso, comincia il suo
inutile e per voi tanto triste gioco.
Ecco - riprese l'angelo - nasce un pensiero e, l'uccello rapace delle
vostre menti, il giudizio, lo attacca e lo ghermisce, allevando così
in seno a voi le vostre brame e i vostri rifiuti.
Come non capire?
Se voi non giudicaste, voi non preferireste e non rifiutereste!
Se, nato un pensiero, esso si staccasse dalla vostra mente come i
petali di una corolla di un fiore giunto il tempo della sfioritura,
ecco che tutto si consumerebbe senza lasciare traccia alcuna, come
nel cielo le nuvole passando non lascian orma alcuna.
Se invece interviene l'aquila, cioè il giudizio, ecco che i
pensieri, come fiori assai straniti, crescono a dismisura come
giganti insolenti in una piccola serra a primavera, avvolgendo tutto
nelle loro spire con stretti lacci di passioni e dunque, di vane
sofferenze!"
Commento: Ognuno lasci libera la mente di fare il suo dovere,
come lo fa ogni cosa da me voluta, solo non s'appigli ai figli della
mente facendoseli crescere in seno come propri figli da allevare con
astuzia e voluttà per farne virtù e misericordiosi adempimenti, né
tanto meno li scacci come figli reietti e bastardi mandandoli
raminghi per il mondo poiché io che son giusto ed ho pietà dei
figli così cacciati, a loro ridarò il loro giusto tetto.
State attenti ai vostri pensieri e non prendetevi cura di loro.
Osservate i vostri pensieri come se fossero pacchetti colorati che la
vostra mente emette, proprio, come sapete, le cellule ghiandolari
emettono degli ormoni.
Prendersi cura dei propri pensieri è come scartare quei pacchetti,
per trovarci dentro chissà che, facendo in modo che la mente,
stimolata dai nuovi oggetti, trovati dentro al pacco, confezioni
anche questi, allungando così la fila dei 'doni' che essa,
scioccamente, continua a sua insaputa a farsi.
Colui che guarda dentro ai pacchi o che ne ferma uno per ammirarlo o
denigrarlo è il giudizio che crea solo sempre nuovi guai.
Attivarlo è come attivare le pale di un mulino che vengono mantenute
nel loro moto dalla stessa acqua che fan girare!
Tenersi in seno un pensiero perché lo si stima buono e piacevole e
bello, attiva lo stesso 'mulino' che poi si vuol disattivare, quando
il pensiero è cattivo, disdicevole e pauroso!
Non si può fermare il mulino, semplicemente quando si vuole, occorre
non attivarlo.
La mente è come un cielo, il cielo non è né sereno, né nuvoloso,
poiché di per sé è soltanto 'cielo'.
Abbandonate il giudizio e, come per magia, la scia dei 'pacchetti,
non venendo né intoppata, né alimentata, si esaurirà naturalmente
perché, anche se voi non lo credete possibile, i pensieri non sono
mai nuovi, ma sempre soltanto piccoli pacchetti, trovati dentro a
grandi pacchi! Basta non fermare e non aprire i pacchi! E attenzione
a non confondere il giudizio con il vedere quel che è.
Il giudizio dice questo è bene, questo è male, portandosi sempre
dietro il desiderio e il rifiuto, fonte di sofferenza.
Il vedere quel che è fa solo sì che i vostri occhi, attenti,
distinguano un fosso da un dosso, in modo che il vostro piede si
accomodi alla conformazione di quel suolo, senza inciampare e
storcersi.