lunedì 29 agosto 2011

13 Storia del monaco che ha paura degli elefanti.

Si racconta di un priore che un giorno chiamò a colloquio un suo discepolo, perché costui non pareva far tesoro di nulla, né della pratica, né della lettura degli antichi testi sacri, di nulla, dicevamo, che non fosse la sua paura.
Il discepolo aveva una gran paura degli elefanti, e siccome nel paese dove abitava di elefanti se ne vedevano in ogni dove, poiché erano usati per i lavori dei campi, ecco che lui non aveva più voluto uscir di casa.
Veniva già, quel discepolo, da un altro monastero dove il priore, che se l'era preso caro, era morto senza poter risolvere quella paura.
Giunto che fu il discepolo, davanti al suo nuovo priore, ecco che questi gli domandò:
"Come sta la tua paura?"
Il discepolo non poté non rispondere che, fino a quando restava entro le mura del monastero, riusciva ad avere un po' di pace, ma se soltanto gli si chiedeva di andare oltre il muro di cinta, a lavorar nei campi, ecco che cadeva preda di un panico davvero incontenibile.
A queste parole il priore chiese come avesse affrontato il problema con il suo predecessore.
"Invero - disse il discepolo - quel priore iniziò col farmi prendere mentalmente confidenza con gli elefanti, dicendomi di non temerli, perché avrei saputo domarli, ma, ahimè, non fu così, ché io non risultai davvero bravo in quell'intento.
Fu così - proseguì il discepolo - che il vostro predecessore pensò bene di farmi domare animali più piccoli. Si iniziò dai topi e poi dai gatti, fino alle tigri e quindi ai terribili elefanti."
"E come andò?" chiese il priore.
"Peggio che mai - iniziò col dire il discepolo - ché io così mi accorsi che temevo anche tutti quegli animali!"
"Capisco! - disse il priore - E il timore, quando ti veniva?"
"Non appena comparivano nella mia mente gli animali!" rispose quel discepolo, pensando che la domanda era davvero inutile e sciocca!
"Eh già! - rispose il priore - forse non doveva farteli domare! Ma adesso tu hai trovato la tua fortuna, ché io sono un buon domatore di felini e di elefanti, e non disdegno i topi, per cui, ecco risolto il tuo problema!"
Guardò incredulo e con riconoscenza, quel principiante, il suo priore e gli domandò quando avrebbe fatto ciò che aveva promesso.
"Mah! - disse il priore - direi domani, visto che oggi non vedo tu ti sia portato appresso alcun animale da domare!
Vieni domattina e portali tutti qui, io li domerò!"
Commento: La paura è un giudizio e, come tale, ve lo portate appresso. Dunque non sono luoghi lontani, o la malattia, o la morte, o aerei, o persone, o cose a farvi paura, ma è ciò che la vostra mente di quelle cose pensa, giudica, conclude. Se la vostra mente fosse vergine e vuota, ciò non accadrebbe e voi ridereste davvero di tanto sciocco timore.

venerdì 4 marzo 2011

12 Storia delle tarantole

Un giorno un discepolo chiese al suo maestro: "Maestro com'è che voi non siete virtuoso e casto e giusto come dovrebbe essere un vero illuminato, un saggio?
Il maestro che vi precedette era uomo di autentica virtù poiché mai nulla fece per cui potesse essere ripreso ma, non so spiegarmi come, non era egli un uomo di pace.
Non so che dirvi e come, ma questo fu ciò che sentii sempre quando sedevo accanto a lui.
Come se ci fosse un ardore non sopito, un che di combattivo, una lotta, un duello, tra chi e chi io non saprei dirvi, ma questo sentivo sempre presente in seno a quell'uomo.
Dunque ciò che emanava dal suo volto era severità, giustizia, una saggezza oscura, non pace.
Voi siete l'opposto, che io mi accorsi presto, non siete davvero un modello di virtù; cadete ancora preda di baldanzose ire, siete attirato da qualche bella donna e non disdegnate bere, quando la nostra regola in realtà lo vieta.
Ma di nuovo qui non so che dirvi come voi spandiate intorno a voi soave pace e ogni vostra parola placa il cuore e non alza inganni."
"Ah! - disse il maestro - e perché allora stai qui con un uomo come me che non ha virtù di santità?"
"Ma io non saprei. Certo ciò che mi prende il cuore è molto più la pace che irradiate; quella io non conosco e vorrei conoscere poiché, vedete, le cose in cui sbagliate io le riconosco e dunque esse non mi fanno danno!
Dunque ho concluso che sono molto più attratto da ciò che avete voi, piuttosto che dal restare accanto ad un uomo saggio che non farà mai una pazzia. Ma a questo punto io non mi raccapezzo più: non serve di più seguir la regola e la divina legge piuttosto che essere come voi?"
"Vedi - rispose pacatamente il maestro - io penso che così vada la vita, che in natura esistono due specie di tarantole: quelle che pensano che il loro veleno sia un problema e dunque cercano in buona fede, seguendo, dicono, la divina legge e l'unità, cercano di ammaestrare il loro veleno a diventare innocuo e si trattengono dall'espanderlo per paura di fare danni; così in loro il veleno, che è naturalmente prodotto, ad un certo punto si dilata ed espande ed esse spandono intorno a sé ciò che il veleno corrode dei loro visceri inquieti. Ci sono poi tarantole che non fanno del loro veleno un problema e non piangono mai sulle carogne che esso ha fatto."
Sapeva il maestro che a quelle parole il discepolo o si sarebbe illuminato o sarebbe andato via inorridito.
E così fu che il discepolo disse: "Troppo forti e audaci son queste tue parole e io non credo che così, invero, vada la vita, perciò ti lascio".
Si ritirò così da solo su di un monte lì vicino, calato in un penoso e triste affanno perché non sapeva più cosa pensare, non aveva più riferimenti e quel paragone delle tarantole gli oscurava il cuore.
Fu così che un giorno un vecchio che veniva da lontano e stava andando ad incontrare il maestro del nostro discepolo, poiché quel maestro era considerato un saggio, sostò dal discepolo.
Il vecchio sapeva della storia tra il maestro e il discepolo che lo aveva ospitato nella sua capanna, ma non proferì parola.
Ringraziò del pasto e del giaciglio e vedendo sempre scuro e triste quell'ospite squisito, prima di ripartire disse: "Le nuvole si stanno addensando e corrono davvero basse e temo che una tempesta mi colga per strada facendomi, per la mia età, gran danno."
"E che danno vuoi che ti faccia? - chiese il discepolo - Credi forse d'esser quel corpo che morirà per un po' di pioggia?"
"Ah! - disse il vecchio - allora io mi sbagliavo, che tu non credi che la tempesta sia una cattiva cosa!"
A queste parole il discepolo fu illuminato."

giovedì 24 febbraio 2011

11 Storia dell'uomo indolente che cerca la verità.

11 Storia dell'uomo indolente che cerca la verità.

Se ne andava un giorno un uomo indolente che quasi tutto il suo paese aveva girato, cercando in ogni dove un maestro, un saggio che lo potesse istruir sulla verità, ma che invero non aveva ancor trovato.
Il primo suo maestro lo istruì sul bene e tutto gli disse di ciò che era bene e giusto fare per diventare una vera, rara, santità.
Il giovane iniziò così a professare il bene, azzittì il suo cuore in quel credo, e s'accontentò di vivere di radici dietro a quel vecchio, ostinato nella propria bontà.
Ma venne un tempo in cui, con grande tumulto, passarono su quelle terre i soldati del re e ivi portarono morte e distruzione e trascinando dietro a sé vari schiavi, lasciarono per le vie morti e malati, e per le campagne bimbi spersi e piangenti, e vecchi inoperosi senza speme.
Incontrò sul far del giorno il nostro giovane un vecchio con un bimbo ancor di latte in braccio e, vedutolo, quel vecchio fece appena in tempo a consegnargli quel prezioso fardello, prima di spirare.
Tornato alla capanna, il   maestro lo vide e gli chiese:
"Chi è quel bimbo che ti porti in braccio?"
"Un bimbo che cerca ancora le mammelle di sua madre, mi ha consegnato prima di morire un vecchio, stamattina sul limitar del bosco. Che devo fare?"
"Da te ti sei cacciato in questo guaio, da te risolvilo, ché io non so davvero cosa sia bene o male in questo caso, solo segui il cuore."
"Se seguo il mio cuore, o buon maestro, vado in città e porto il bimbo ad una nutrice."
"E dunque sia" rispose il maestro.
Ma giunto in città, fu difficile trovare una casa che ancora fosse in piedi, non arsa dal fuoco, e pochissimi ormai erano gli abitanti.
Il bimbo ormai piangeva senza sosta e il giovane si decise di cercare una mucca o una capra per un po' di latte, ma mentre prendeva una capra che passava, si imbattè nell'esercito nemico che prese lui, la capra e il piccino.
Il nostro giovane fu così condotto prigioniero di accampamento in accampamento, dietro a quei soldati che mai seppe amare.
Fu così che un giorno, approfittando di una grossolana distrazione del suo carceriere, il giovane fuggì nella foresta e si mise subito in cammino per ritrovare il vecchio maestro. Ma giunto che fu, dopo lunghe settimane al capanno, trovò il maestro morto.
Il giovane pianse amaramente la propria sorte pensando di non aver avuto fortuna con quel maestro, perché, pensava, se colui fosse stato veramente un saggio, certo avrebbe dovuto impedirgli di andare in città, poiché un maestro deve essere a conoscenza che il cuore del discepolo brama molto più conoscere la verità, piuttosto che rispondere a certe necessità che la vita astutamente pone.
Andò così che si cercò un nuovo maestro.
Il secondo maestro era un oscuro che gli insegnò tutto ciò che è male, e fin nei più nascosti meandri dell'umano ingegno a far del male, portò il cuore del suo allievo, tanto che questi ne fu così terrorizzato che pensò fosse meglio non far altro che pregare e meditare tutto il dì, per evitare le assidue strettoie che la tentazione accampa.
Ma avvenne che un giorno che era caldo e che in riva al fiume il nostro giovane si era disteso, i piedi un po' nell'acqua e il capo all'ombra, vedesse una ragazza andar per acqua e, per sortilegio cui non poté che arrendersi, s'innamorasse di lei.
Seguirono le dolcezze dell'amore, ma ahimè, anche i tormenti dei litigi, e quell'uomo pensò di ripartire per cercare un nuovo maestro, ché davvero in questo non aveva avuto fortuna!
Lo troviamo a questo punto, nella sua indolenza, a ripercorrere le strade del paese per cercare questo saggio che lo aiuti a trovare il Divino e la Sua Pace.
Mentre cammina con il capo chino, batte il piede in un sasso e si ferisce.
Stanco e addolorato si siede su di un masso e cerca con gli occhi il fiume dov'è, per avere dall'acqua un po' di frescura e di ristoro.
Mentre con gli occhi scruta intorno a sé, ecco che compare un vecchio affaticato e stanco.
Il vecchio si siede sul masso accanto all'uomo, e dopo poco gli dice:
"Ti aspettavo proprio oggi qui, il cuore me lo aveva detto!"
"Sei forse tu - chiese l'uomo - il maestro che io cerco?"
"Sì, credo proprio di sì, anzi ti assicuro!"
Bene - disse l'uomo - e che hai da insegnarmi?"
"Nulla - disse il vecchio con un sorriso dolce sulle labbra - se non che un fiume non si cerca a vista, ma si porge l'orecchio per sentirne il flusso!"
Commento: Colui che non sente nel proprio cuore scorrere il fiume della verità e della divina Pace, è colui che crede, nella sua malizia di conoscere già il rumore che fa l'acqua, cosicché a colui che si aspetta il rumore di una fragorosa cascata, ecco che è un rigagnolo appena appena largo come una mano che canta la lode del Divino, e a colui che si aspetta un fiume, largo e quieto nel suo scorrere in pianura, ecco che è un saltellante torrente di montagna a far le veci della voce dell'Altissimo Signore!
Perché, chi ascolta con le orecchie si accontenta di ascoltare il canto che forgiarono i suoi vecchi, credendo nel modificarlo di esser nuovo, ma chi ascolta con il cuore, il cuore, non può riferire ciò che ascolta perché, su questa terra, non esiston parole!

lunedì 7 febbraio 2011

10 Storia sul senso di colpa

Si racconta la storia di un monaco che andava tutti i giorni a confessare al priore le proprie mancanze, accusandosene con un ostentato spirito di colpevolezza, e attendendo da quel superiore dure penitenze o aspre parole di rimprovero.
Ogni volta il priore rispondeva: "Non puoi aver rimorso per le formiche che pesti camminando."
Il discepolo trasaliva sempre a queste parole come se il suo vecchio maestro stesse dicendo un'eresia.
E fu così che un giorno prese coraggio e gli disse: "Certo io non mi sento in colpa per le formiche che pesto, camminando, perché non le vedo, ma quando io agisco, ragiono e scelgo e, dunque so! La cosa non vi pare un po' diversa?"
"Questo è il tuo guaio." Rispose il priore.
"Quale?" Chiese l'allievo.
"Che tu ancora creda di vedere e di sapere!" rispose il maestro.
"Allora - chiese l'allievo - volete forse insinuare che il senso di colpa non ha ragione d'essere?"
"No - disse il priore - io non lo insinuo, ma lo asserisco!"
E dopo un lungo silenzio il vecchio priore spiegò: "Quando un cieco ha riavuto la vista, sta forse a sentirsi in colpa per tutti i fossi in cui, da cieco era caduto, oppure, col cuore pieno di gratitudine, meraviglia e stupore, va spedito, senza più dover stare attento a non cadere, poiché vedendo, questo gli sarà solo naturale? Che posto può avere, in un cuore del genere il senso di colpa? Se, senso di colpa c'è, è solo nella stolta malizia di colui che, ancora cieco, si ripropone ad ogni passo di non cadere più, ma non con l'intenzione di vederci chiaro, per fare ciò, bensì soltanto per evitare gli acciacchi che la caduta stessa gli arreca!"
Commento: La colpa è un giudizio morale e il senso dell'errore è il lucido guardare di colui che vede!
Ciò che dovete impegnarvi a fare è essere attenti a vedere, non vivere in un buco stretto e pauroso di colpe e di timori, di sacri strali, perché se uno strale si conficca nella carne, certo non è Dio a mandarlo, ma è la freccia che l'arco del giudizio, teso dalla scaltra mente, ha lasciato andare.

sabato 22 gennaio 2011

9 Storia del maestro che non è virtuoso come dovrebbe essere.

Un giorno un discepolo chiese al suo maestro: "Maestro com'è che voi non siete virtuoso e casto e giusto come dovrebbe essere un vero illuminato, un saggio?
Il maestro che vi precedette era uomo di autentica virtù poiché mai nulla fece per cui potesse essere ripreso ma, non so spiegarmi come, non era egli un uomo di pace.
Non so che dirvi e come, ma questo fu ciò che sentii sempre quando sedevo accanto a lui.
Come se ci fosse un ardore non sopito, un che di combattivo, una lotta, un duello, tra chi e chi io non saprei dirvi, ma questo sentivo sempre presente in seno a quell'uomo.
Dunque ciò che emanava dal suo volto era severità, giustizia, una saggezza oscura, non pace.
Voi siete l'opposto, che io mi accorsi presto, non siete davvero un modello di virtù; cadete ancora preda di baldanzose ire, siete attirato da qualche bella donna e non disdegnate bere, quando la nostra regola in realtà lo vieta.
Ma di nuovo qui non so che dirvi come voi spandiate intorno a voi soave pace e ogni vostra parola placa il cuore e non alza inganni."
"Ah! - disse il maestro - e perché allora stai qui con un uomo come me che non ha virtù di santità?"
"Ma io non saprei. Certo ciò che mi prende il cuore è molto più la pace che irradiate; quella io non conosco e vorrei conoscere poiché, vedete, le cose in cui sbagliate io le riconosco e dunque esse non mi fanno danno!
Dunque ho concluso che sono molto più attratto da ciò che avete voi, piuttosto che dal restare accanto ad un uomo saggio che non farà mai una pazzia. Ma a questo punto io non mi raccapezzo più: non serve di più seguir la regola e la divina legge piuttosto che essere come voi?"
"Vedi - rispose pacatamente il maestro - io penso che così vada la vita, che in natura esistono due specie di tarantole: quelle che pensano che il loro veleno sia un problema e dunque cercano in buona fede, seguendo, dicono, la divina legge e l'unità, cercano di ammaestrare il loro veleno a diventare innocuo e si trattengono dall'espanderlo per paura di fare danni; così in loro il veleno, che è naturalmente prodotto, ad un certo punto si dilata ed espande ed esse spandono intorno a sé ciò che il veleno corrode dei loro visceri inquieti. Ci sono poi tarantole che non fanno del loro veleno un problema e non piangono mai sulle carogne che esso ha fatto."
Sapeva il maestro che a quelle parole il discepolo o si sarebbe illuminato o sarebbe andato via inorridito.
E così fu che il discepolo disse: "Troppo forti e audaci son queste tue parole e io non credo che così, invero, vada la vita, perciò ti lascio".
Si ritirò così da solo su di un monte lì vicino, calato in un penoso e triste affanno perché non sapeva più cosa pensare, non aveva più riferimenti e quel paragone delle tarantole gli oscurava il cuore.
Fu così che un giorno un vecchio che veniva da lontano e stava andando ad incontrare il maestro del nostro discepolo, poiché quel maestro era considerato un saggio, sostò dal discepolo.
Il vecchio sapeva della storia tra il maestro e il discepolo che lo aveva ospitato nella sua capanna, ma non proferì parola.
Ringraziò del pasto e del giaciglio e vedendo sempre scuro e triste quell'ospite squisito, prima di ripartire disse: "Le nuvole si stanno addensando e corrono davvero basse e temo che una tempesta mi colga per strada facendomi, per la mia età, gran danno."
"E che danno vuoi che ti faccia? - chiese il discepolo - Credi forse d'esser quel corpo che morirà per un po' di pioggia?"
"Ah! - disse il vecchio - allora io mi sbagliavo, che tu non credi che la tempesta sia una cattiva cosa!"
A queste parole il discepolo fu illuminato."

mercoledì 5 gennaio 2011

8 Storia della catasta di legna che va a fuoco.

"Un giorno - inizia a raccontare il mio maestro - un saggio chiese a coloro che lo seguivano:
"Chi è colui che è più vicino a Dio?"
Le risposte furono quasi tutte ovvie e scontate: chi disse, colui che sa; chi aggiunse, colui che ama; chi azzardò, colui che prega; chi precisò, colui che fa la volontà del Padre!
Il saggio storceva la bocca ad ogni risposta e, quando fu nominato anche il Padre, chiese:
"E il figlio resta figlio o diverrà Padre?"
A questa domanda tutti tacquero per paura di cadere in un'eresia, quando un bimbetto, entrato di corsa nella stanza, senza dar segno di reverenza alcuna al saggio, disse:
"Correte, correte! La catasta di legno, vicina al fuoco, s'è fatta fuoco!!"
E il saggio, prima di uscire di corsa disse: "Fine della lezione."
Commento: "Solo Dio capisce Dio: fino a quando l'onda resta onda non può capire il mare, ma non c'è niente di meglio per l'onda che essere onda per capire il mare."